“Penso che ci sia ancora molto da scoprire”: intervista a Marco Somà

Illustrazioni ricche di infiorescenze, dal cromatismo etereo, pervase da una vaga atmosfera vittoriana, popolate da animali antropomorfi vestiti di magliette a righe, proprio quelle che prediligo anche io.
Spazi aperti, natura costantemente presente, case sugli alberi a dare riparo, tuffi, voli, passi aggraziati in una sinfonia di quieta bellezza. Questo e ben altro è il mondo di Marco Somà che ho intervistato, in occasione della sua vittoria nella categoria “migliore illustratore” del Premio Andersen.

La prima domanda che mi viene da porti è una domanda personale ma che può aprirci a parlare del tuo lavoro. Perché, di fatto, ognuno di noi è il bambino che è stato. Quindi, com’era Marco Somà da bambino? So che hai avuto un’infanzia a profondo contatto con la natura e penso che questo si respiri profondamente nel tuo lavoro. Raccontaci di te.

Penso di essere stato un bambino come tanti, cresciuto a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 in un piccolo paese immerso nel verde e lontano dai grandi centri.
Disegnavo tanto, ho sempre amato disegnare, era un modo per raccontarmi delle storie e per inventare quello che non potevo avere. Riempivo i momenti di noia con il disegno. Per il resto passavo i pomeriggi con gli amici a giocare in piazzetta o in escursioni in bicicletta alla ricerca di qualche casa stregata.
Niente videogiochi, niente cellulare, niente computer. Le sole tre cose di cui non potevo far a meno erano: la mia BMX, Tobia (il mio cane) e L’isola del tesoro.

Marco Somà, matita per “Il richiamo della palude”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2016 (courtesy: Marco Somà)

In passato hai dichiarato che quello dell’illustrazione non è un talento, ma è un lavoro.
In quali termini e come si conciliano l’ispirazione e l’immaginazione con il lavoro? È sempre facile? Hai un approccio tutto tuo per dar vita visivamente ad un’opera?

Continuo a pensare che per diventare illustratori sia necessaria una profonda passione per la letteratura e per l’illustrazione e poi occorra tanto studio, ricerca e applicazione paziente.
Come in tutte le professioni, anche in questa non si smette mai di imparare e di accrescere la propria esperienza. Con il nostro lavoro ci mettiamo sempre in relazione con il testo di un autore, ci inseriamo in un mercato editoriale e ci rivolgiamo ad un pubblico, ma tutto questo non lo considero un limite, bensì uno stimolo. Questi paletti li trovo necessari per tendere un filo sul quale muoversi con la propria immaginazione. Per fare un buon lavoro occorre essere dei bravi equilibristi e questo non è sempre facile.
Non penso di avere un approccio particolare nel creare visivamente un’opera. Solitamente parto dalla parola che ha colpito maggiormente la mia attenzione e inizio ad abbozzare una serie di idee da cui poi seleziono quella che trovo più convincente.
In seguito procedo nel definire “gli attori” della scena, e separatamente lo scenario, il taglio, la composizione, le luci e i colori. Quando ho chiarito tutti questi aspetti, allora procedo con il definitivo.

Marco Somà, matita per “Il richiamo della palude”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2016 (courtesy: Marco Somà)

Leo Lionni, parlando della sua opera forse più conosciuta — Piccolo blu e piccolo giallo (1959) — affermava: «Sono convinto che sia molto più facile per un bambino identificarsi nell’immagine di un topo, o di un pezzetto di carta colorata, piuttosto che in quella di un bambino. Il problema dell’immedesimazione è enorme».
È effettivamente così. Mi è capitato di parlarne con la stessa Jutta Bauer, l’autrice, fra gli altri titoli, de 
La regina dei colori, a proposito della sua poetica. I bambini hanno una maggiore capacità di entrare in empatia con gli animali, siano essi esseri viventi siano essi rappresentazioni simboliche.
Dove si colloca Marco Somà all’interno di questa visione? Che rapporto ha con questo mezzo simbolico? Perché lo predilige? E se ha avuto dei punti di riferimento, chi sono stati?

Sono assolutamente d’accordo con questa visione. Qualunque bambino, di qualunque parte del pianeta può riconoscersi più facilmente negli atteggiamenti, nelle abitudini, nel carattere di un personaggio animale o di un personaggio astratto, proprio perché si aggira il limite della caratterizzazione umana.
Personalmente amo molto la natura e gli animali e mi sento particolarmente in sintonia con questo mondo, il paesaggio che vedo quando mi affaccio dalle finestre di casa è una continua fonte di ispirazione, perciò tutte le volte che il testo me lo consente ritraggo i personaggi con sembianze animali.
Sono molti gli illustratori e le illustratrici che considero dei punti di riferimento e sicuramente tra questi ci sono Grandville, Arnold Lobel, Beatrix Potter e Jill Barklem.

Marco Somà, tavola tratta da “La gallinella rossa”, di Pilar Martinez e Marco Somà, Kalandraka, 2013 (courtesy: Marco Somà)

L’aver fatto dell’antropomorfismo uno dei tuoi codici espressivi quanto è stata una tua scelta e quanto invece ha pesato la richiesta editoriale? Penso a La gallinella rossaI tre porcellini (editi entrambi da Kalandraka) o ancora a I sette letti di ghiro (edizioni NubeOcho) o Si può dire senza voce (Glifo Edizioni), solo per citare alcune delle tue prime opere.

Devo ammettere che gli editori mi hanno sempre lasciato molta libertà sull’interpretazione dei personaggi: sia sulla scelta di umanizzarli, che sulla loro caratterizzazione.
Spesso è il testo a suggerirmi un’epoca o un luogo preciso in cui collocare i protagonisti, il loro aspetto o gli abiti che indossano.

Marco Somà, tavola tratta da “Il richiamo della palude”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2016 (courtesy: Marco Somà)

So che, a meno che nel frattempo non sia stato sostituito da un altro, il libro a cui sei più legato è Il richiamo della palude (Kite edizioni). Cosa ti ha dato lavorare su questa storia? Qual è il rapporto che ti lega a Davide Calì (ormai il vostro ci appare come un sodalizio artistico a tutti gli effetti)? Ci regalerete presto un’altra storia dopo La regina delle rane e Il venditore di felicità (sempre Kite edizioni)?

Sono molto affezionato a Il richiamo della Palude perché dal momento in cui ho letto il testo per la prima volta l’ho sentito “mio” e particolarmente adatto al mio modo di raccontare per immagini.
Poi non si può non provare empatia nei confronti del piccolo Boris, il protagonista della storia, così diverso ma allo stesso tempo così simile a noi. Come lui, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti fuori posto o completamente persi alla ricerca di noi stessi.
Mi piace molto lavorare con Davide Calì, i suoi testi sono davvero molto stimolanti.
Abbiamo in progetto un quarto libro insieme sempre per Kite Edizioni e che vedrà la luce nei prossimi anni. La storia è bellissima e contiene un gran numero di personaggi animali, alcuni già presenti nei nostri precedenti libri. Non posso svelarvi di più… ma non vedo l’ora di mostrarvelo!

Marco Somà, tavola tratta da “Il richiamo della palude”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2016 (courtesy: Marco Somà)

Provieni dalla Scuola Ars in Fabula di Macerata. Cosa pensi di aver appreso riguardo alla letteratura per l’infanzia e cosa hai scoperto poi dopo, da solo. Che rapporto pensi abbia l’illustrazione per l’infanzia rispetto all’illustrazione in generale? Qual è la tua visione a riguardo?

Devo molto all’Ars in Fabula, per me è una seconda casa, durante la mia formazione e anche dopo, ho avuto la fortuna di incontrare tanti maestri che mi hanno trasmesso molto della loro esperienza.
Tutto questo è stato fondamentale per maturare un mio linguaggio e riuscire a muovere i primi passi nell’editoria per ragazzi.
Come dicevo prima, in questo mondo, non si smette mai di imparare e di crescere. I rapporti con gli editori e i librai mi permettono di comprendere meglio il mercato, le sue esigenze e le evoluzioni. I laboratori e gli incontri con i bambini mi permettono di capire meglio il punto di vista del lettore, che ritengo sia una cosa fondamentale per migliorare.
Mi sembra che in questi ultimi anni l’illustrazione per ragazzi e gli albi illustrati stiano riscontrando un crescente interesse da parte non solo dei bambini e dei loro genitori, ma anche di adulti appassionati. Questo sta portando senza dubbio ad una maggiore considerazione dell’illustrazione per ragazzi sia nel mondo dell’illustrazione in generale, sia in ambito Accademico e nelle scuole d’arte.
Spesso, però, mi sembra che non venga ancora riconosciuto il giusto valore al ruolo dell’illustrazione e in generale alla letteratura per ragazzi. C’è ancora molta strada da fare.

Marco Somà, tavola tratta da “La gallinella rossa”, di Pilar Martinez e Marco Somà, Kalandraka, 2013 (courtesy: Marco Somà)

So che insegni, sia all’Accademia di Cuneo che a Macerata. Come ti proponi durante la prima lezione ai tuoi studenti? Cos’è che vorresti davvero trasmettere loro con le tue lezioni?

Solitamente la maggior parte dei ragazzi che incontro per la prima volta a lezione conoscono poco o nulla l’albo illustrato e hanno diversi preconcetti sulla letteratura per ragazzi.
Per abbattere questo muro, leggo in aula, analizzando poi immagine dopo immagine, alcuni albi illustrati da autori che per me sono stati illuminanti.
Quello che mi piacerebbe davvero trasmettere ai ragazzi è quella magia di cui sono pieni gli albi illustrati di qualità e far nascere in loro una curiosità viva che li porti a divorar libri e immagini e che gli faccia trascorrere ore al tavolo da disegno con il desiderio di trovare una propria voce.

So che trai molta ispirazione dai bambini e dai comportamenti del tuo cane col quale fai lunghe passeggiate in montagna. Io credo che già questo infonda così tanta poesia nelle tue pubblicazioni. Ma qual è il “segreto Somà”, ovvero qual è secondo te lo “stile Somà”, quello che ti contraddistingue e nel quale pensi che gli altri possano riconoscerti rispetto ad altri illustratori?

Non saprei, forse quello che contraddistingue il mio segno è quello che amo e che amo disegnare. Mi incanta la natura con la sua silenziosa bellezza e il suo repertorio di forme e colori, gli animali, ma anche le creazioni dell’uomo: dalle architetture, al design e all’arte.

Marco Somà, tavola tratta da “L’infinito”, di Giacomo Leopardi e Marco Somà, Einaudi Ragazzi, 2019 (courtesy: Marco Somà)

Quando ti hanno proposto di illustrare un’opera come L’infinito di Leopardi (Einaudi Ragazzi), qual è la prima reazione che hai avuto e come hai deciso di impostare il tuo progetto?

Ero felicissimo e onorato che mi fosse data la possibilità di illustrare un’opera di tale importanza, ma i timori erano tanti.
Ho dovuto riflettere molto su quale potesse essere il giusto modo di approcciarmi al testo. Dopo un iniziale smarrimento è seguita una fase di ricerca, di studio, di comprensione, senza disegnare nulla. Rispolverare i vecchi libri di scuola, le interpretazioni critiche della poetica di Leopardi e altre fonti sono state importanti per entrare in sintonia con il suo pensiero.
A un certo punto, però, è stato necessario fare silenzio intorno per ascoltare unicamente le parole del Poeta e lasciarsi trasportare.
La prima immagine che ho tracciato, il cancello semiaperto a rappresentare il passaggio tra la realtà “limitata” e l’immaginazione, è stata fondamentale per capire la direzione del viaggio.


Marco Somà, tavola tratta da “L’infinito”, di Giacomo Leopardi e Marco Somà, Einaudi Ragazzi, 2019 (courtesy: Marco Somà)

Dalle tue tavole si comprende come prevalga in te un certo gusto per le ricchezza dei dettagli e una pienezza della pagina. Ci si perde letteralmente a osservare ogni più piccolo particolare.
Come riesci a bilanciare questo gusto, con la necessità di non appesantire visivamente la narrazione?

Quando il progetto me lo consente, penso ad esempio ai libri pubblicati con Kite Edizioni, cerco di alternare doppie pagine interamente illustrate con doppie che contengono una pagina bianca con un solo elemento scontornato che dialoga con l’immagine accanto. Questa soluzione mi piace particolarmente, perché mi permette di creare dei giochi grafici interessanti con la pagina bianca e allo stesso tempo mi permette di alleggerire la composizione della pagina.
Nei casi in cui tutte le illustrazioni devono essere al vivo, cerco di creare dei vuoti nell’immagine necessari per contenere il testo, ma anche per dare respiro all’immagine e non stancare troppo l’occhio dell’osservatore.

Marco Somà, tavola tratta da “La regina delle rane”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2013 (courtesy: Marco Somà)

Qual è la tecnica che usi per elaborare le tue tavole? So che ti piace lavorare a matita, dedicandoti al tratto fine, per poi intervenire con photoshop, sovrapponendo strati di colori e carte (che trovi non so bene dove). Come sei arrivato a questa tecnica? Ti senti soddisfatto del risultato o stai sperimentando linguaggi nuovi? Una cosa che amo molto della tua tecnica è quella di giocare col cromatismo.

All’inizio della mia carriera dipingevo le mie tavole ad acrilico, con stesure sovrapposte e dense di colore. Amavo l’effetto di tridimensionalità e la forza cromatica che riuscivo ad ottenere; tuttavia con questa tecnica sentivo la mancanza di qualcosa, per me, molto importante: il segno. Ho trovato nella tecnologia la chiave di svolta, permettendomi di combinare il tratteggio a matita con una colorazione ottenuta dalla sovrapposizione di carte colorate che trovo in giro, fondini ad acquerello e texture che mi permettono di non perdere il calore e la profondità delle tecniche tradizionali.
Questa tecnica di sovrapposizione e combinazione di varie carte colorate mi permette di ottenere sempre risultati diversi che a volte mi sorprendono. Penso che ci sia ancora molto da scoprire, per cui andrò avanti a sperimentare in questa direzione. Poi chissà…

Marco Somà, tavola tratta da “La regina delle rane”, di Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2013 (courtesy: Marco Somà)

©ZazieVostok

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