Presso la Sala Vanvitelli della Mole di Ancona di Ancona è stata inaugurata, lo scorso 10 Novembre 2019, una mostra dal titolo Toccare la bellezza. Maria Montessori Bruno Munari.
Promossa e organizzata dal Museo Tattile Statale Omero e dal Comune di Ancona, in collaborazione con la Fondazione Chiaravalle Montessori e l’Associazione Bruno Munari, sarà visitabile fino all’8 marzo 2020.
La particolarità di questa esposizione sta nel proporre la tattilità come esperienza estetica, in un viaggio fra le opere di due degli esponenti del nostro secolo che, per motivi differenti, hanno maggiormente rivolto l’attenzione ai cinque sensi.
Oltre alla mostra, c’è spazio anche per i laboratori didattici — secondo il metodo Bruno Munari e il modello montessoriano — per scuole e famiglie, nonché workshop e giornate di formazione per docenti, educatori e operatori museali.
Sabato 25 gennaio è previsto un convegno internazionale, con la partecipazione di illustri relatori, e presto uscirà il catalogo a cura di Corraini edizioni.
Abbiamo voluto approfondire l’argomento con il professor Fabio Fornasari, che ha curato l’allestimento e con il quale abbiamo parlato anche di musei, arte, ragazzi, ed educazione alla bellezza.
Toccare la bellezza, questo è il nome della mostra che lei ha allestito presso la Mole di Ancona. Perché pone proprio il tatto, fra i cinque sensi, al centro dell’esperienza estetica?
A volte, per fortuna, ci sono risposte semplici: perché è stata prodotta e voluta dal Museo Omero di Ancona, il museo che in Italia si occupa da 26 anni di fare vivere un’esperienza estetica attraverso il tatto. Lo dobbiamo ad Aldo Grassini, attuale presidente, e a sua moglie Daniela Bettegoni al suo fianco in questa impresa.
La risposta meno semplice è far comprendere quanto sia importante anche per chi non vede poter vivere un’esperienza estetica autentica, profonda, non mediata da traduzioni da copie sostitutive dell’originale e comprendere che toccare non è come vedere. Sono altre le sensazioni sulle quali lavora e quindi diciamo che il tatto non sostituisce la vista.
La nostra cultura ha sempre creduto che l’arte fosse cosa legata al vedere e su questo ha costruito tutte le sue teorie estetiche. Ad esempio esiste la teoria delle ombre che non si limita alla questione fisica di come la luce si comporta con e sui corpi; ma non mi viene in mente una simile teoria che tiene legata concettualmente la differente scabrosità delle superfici, oppure convessità e concavità.
Il bassorilievo e l’altorilievo sono tecniche che si accompagnano all’occhio e non alla mano. Le rappresentazioni sono fatte per creare l’illusione della profondità, non sono un’impronta fisica della visione. Il calco e l’impronta sono relegate da Vasari nella sfera minore delle arti meccaniche. Sarà solo con il novecento che il calco diventa a pieno titolo opera d’arte. Ad esempio con Marcel Duchamp o con Giuseppe Penone per dare due estremi temporalmente distanti.
Nello stesso secolo la ricerca sulla tattilità si esplicita con Marinetti e il suo manifesto, con la Bauhaus e con la ricerca di tanti altri soggetti.
Da dove proviene l’idea di accomunare due figure come quelle di Bruno Munari e di Maria Montessori, che tra l’altro è nata a Chiaravalle, a pochi chilometri da Ancona?
Sono stato chiamato da Aldo Grassini per curare l’allestimento della mostra quando l’iniziativa era già stata presa.
Sono entrato a far parte del comitato scientifico che vede al suo interno Alfio Albani, Paolo Marasca, Alberto Munari, Mariangela Scarpini, Andrea Socrati, Silvana Sperati, Annalisa Trasatti, persone che a diverso titolo appartengono ai due ambiti di ricerca, al museo e al comune di Ancona. L’obiettivo della mostra è esplorare in parallelo la ricerca di Maria Montessori e di Bruno Munari, cercando di cogliere quanto più possibile il valore della tattilità.
Come si sviluppa il percorso della mostra?
Ci sono diversi modi di intendere un allestimento e di curarne il progetto. Sono sempre stato interessato alla progettazione dell’esperienza e non del design delle teche. Alla museografia ho sempre preferito la museologia, lo studio attento di come fare arrivare un pensiero e non quale vestito mettergli.
Detta difficile: mi piace pensare a una museologia cognitiva che abbia però la capacità di ampliare il campo delle emozioni che normalmente si provano nei musei.
Detta facile: mi piace che chi visita le mostre che curo come allestimento possa provare quello stupore che ho provato io mentre ne studiavo i contenuti, mentre approcciavo i pensieri più o meno complessi.
Non ci sono due mostre uguali perché lo stupore non si ripete mai identico.
Il primo ospite sono io, sono io il primo a visitare e ad accompagnare lungo il percorso il comitato scientifico.
Non sono uno studioso di Maria Montessori come non sono uno studioso di Bruno Munari. Munari l’ho conosciuto e ho avuto la fortuna di impostare un lavoro con il suo sguardo ma con questo non posso dire di conoscerlo senza dover studiare la sua complessa ricerca.
I contenuti sono portati da chi lavora quotidianamente immerso nello studio di ciascuna delle due personalità in mostra. Io sono la persona che li deve mettere in gioco, fare entrare in una dimensione narrativa. Come una indagine: cercare la risposta alle domande su chi fosse Maria Montessori e cosa ha fatto per la dimensione estetica del tatto e su chi fosse Bruno Munari e cosa ci ha lasciato.
Per quanto riguarda questa mostra si tratta una scrittura spaziale che raccoglie oggetti, parole, contenuti e li organizza all’interno di una dimensione narrativa che usa allestimenti, scenografie, oggetti materiali originali e cose di supporto che sottolineano, pongono l’attenzione e in particolare invitano tutte la persona, con le sue proprie abilità e le sue proprie sensibilità a riconoscere il valore di quanto è invitato a fare esperienza.
Pensa ci sia un modo migliore per visitarla?
Non c’è un percorso obbligato ma ci sono episodi che possono essere attraversati e colti accettando alcuni suggerimenti che hanno il compito di suscitare in chi visita una curiosità senza necessità di mediazione: il senso delle cose deve anche emergere all’interno di chi guarda.
Tutto può essere toccato e questo apre la possibilità di immaginare cose che non si possono spiegare ma che il tatto può evocare. Di fronte a ciò che non conosciamo, da adulti quali siamo, non possiamo che cercare dentro di noi le risposte.
Il bambino invece, diceva Munari, di fronte il nuovo ha l’infinito. In entrambi i casi qualcosa di molto potente da attivare per creare emozioni.
Ci può dire qualcosa riguardo ai materiali esposti e alla loro scelta?
Tutti i materiali esposti sono stati scelti per i propri valori tattili, per la capacità di evocare un pensiero attraverso l’azione delle mani.
I materiali didattici Montessori presentano analiticamente, pezzo per pezzo, ciò che per Munari si aggrega in forme sintetiche: contrapposizioni, affiancamenti, accostamenti, similitudini e contrasti.
Tutti questi materiali trovano posto intorno e sopra a 5 tavoli tematici che raggruppano i materiali suddividendoli secondo differenti temi: forme, materiali, superfici, alafabeti-codici, costruzione.
I tavoli sono disegnati in maniera da costruire una mappatura naturale dell’esperienza e per aumentare la possibilità di porre a confronto le due ricerche: quella didattica e quella estetica.
I tavoli hanno forme e colore particolari: non sono tutti uguali ma si strutturano in modo differente per offrire una mappatura diversificata e quindi maggiormente riconoscibile al tatto e con le propriocezioni di chi non vede.
Una volta che il visitatore ha fatto esperienza di questi materiali attraversa un corridoio esperienziale: dalla lettura al buio di una tavola tattile ad ambienti interattivi dove far crescere un bosco tattile, dove conoscere l’aula Montessori e dove più in generale cadono le barriere tra visitatore e produttore. Chi passa lascia un proprio gesto.
Che impatto ha avuto la mostra sul pubblico?
Il giorno della presentazione non ho voluto spiegare la mostra perché credo che debba parlare da sola.
Non stiamo parlando di archeologia di civiltà sepolte, ma di oggetti contemporanei che devono solo essere riconosciuti, ascoltati per quello che sono. Credo che la mostra esponga chiaramente le sue regole: libertà di usare e di osare.
La risposta che temevo era che non si capisse tutto questo, e per questo non ho voluto suggerire una lettura della mostra per osservare già dal primo giorno come venisse letta.
La mostra pone a confronto due personaggi.
Pensiamo sempre che in un confronto a due debba esserci un vinto e un vincitore ma anche negli scacchi chi vince è sempre e solo la scacchiera in quanto tiene in piedi il dialogo con le sue regole. Si gioca a scacchi per giocare le regole, non per vincere.
Così la mostra, e credo anche il messaggio sia arrivato: un grande ambiente dove mettersi in gioco, stando alle regole delle mani che toccano, operano e ragionano. Mani che ricordano la propria ricerca col tatto di quando si era bambini.
Lei è Docente di Museologia, nel 2010 ha creato insieme all’architetto Italo Rota il Museo del 900 a Milano e dal 2014 è direttore artistico del Museo Tolomeo dell’Istituto dei Ciechi “Francesco Cavazza” di Bologna (per cui ha curato un prezioso progetto sull’inclusione e le mappe tattili per persone ipovedenti; un richiamo in un certo senso a questa mostra).
Che idea ha di museo contemporaneo? Cosa rappresenta secondo lei per la collettività?
A differenza di un tempo il popolo che frequenta i musei è composto di persone che arrivano da tutte la società e da tutto il pianeta. Ci sono molte idee di museo contemporaneo ma sicuramente partiamo tutti da quanto appena detto.
Come ho risposto all’interno di un’altra domanda, il museo ha un compito in più che si affianca a quelli tradizionali: aumentare lo spettro delle emozioni, e lo deve fare all’interno di una dimensione inclusiva.
Partire dalle persone, che sono portatrici di storie.
A Matera 2019, con un collettivo multidisciplinare che si chiama La Luna al Guinzaglio abbiamo portato una nuova idea di Museo che io ritengo il modello di museo contemporaneo: il museo che costruisce la propria collezione a partire da una comunità che si affaccia dalle differenti sponde sul mediterraneo. Si tratta del MEMORI (Museo Euro Mediterraneo dell’Oggetto RIfiutato). In un periodo nel quale il mare è visto non come luogo di scambi ma come cosa da temere è un’atto anche politico. Il museo contemporaneo prende posizione.
Poi viene la questione del digitale, fondamentale per poter parlare a un pubblico più allargato.
Cosa pensa dei musei d’arte in particolare? Quali vede come musei di riferimento, in ragione della sua visione?
Non posso non dirlo: i musei sono la mia vita.
Quando mi sono iscritto a Firenze alla facoltà di architettura sapevo che a me interessavano più le storie che abitano gli spazi degli spazi stessi.
Ho lavorato con molti musei e ho sempre condiviso molto tempo dentro gli spazi con le persone, studiando le storie che vi abitavano. Ma non posso neppure non dire che ho sempre amato i musei etnoantropologici. Sono stati tra i più coraggiosi e i primi a cambiare le regole della museologia. Sono stati i primi a contaminarsi. A Neuchatel, ad esempio. Tra i primi hanno superato le barriere disciplinari e si sono contaminati nella dimensione narrativa.
Il Quay Brainly di Parigi e il Mucem di Marsiglia sono i due punti di arrivo.
A Marsiglia il Mucem è vissuto come il MoMA e come forse per Roma può essere oggi il MAXXI: luoghi dove la contemporaneità ha casa e l’arte è sempre più esperienza del luogo e usa molti linguaggi.
Con questa mostra penso che lei si proponga di avvicinare gli studenti delle scuole primarie e secondarie all’arte. Qual è secondo lei il ruolo dell’arte nel complesso dell’educazione di un bambino o ragazzo?
L’arte è fondamentale per chiunque, se intesa come un linguaggio capace di emozionare, di dare parola a ciò che altre discipline non riescono a dire.
Apprenderla da bambini significa comprendere quanto non debba essere messa da parte, quanto sia importante al fianco della letteratura.
L’arte visiva e plastica, ma anche l’arte ambientale, ha una qualità che la letteratura non ha: presenta una realtà non lineare, non c’è un prima e un dopo ma un istante cristallizzato che posso leggere a partire da dove voglio. Ed è questa la difficoltà per chi non la conosce: trovare la porta di accesso, trovare il punto di partenza per la lettura. La letteratura e la musica invece accompagnano lungo il percorso. Guidano da sinistra a destra, da sopra a sotto.
L’arte quindi insegna a riconoscere i percorsi, non li dà per scontati.
Qual è stata la sua esperienza con l’arte durante il trascorrere della sua infanzia?
Ho avuto la fortuna di avere due genitori moto differenti tra loro: una mamma che lavorava di testa e un padre artigiano che faceva tutto con le mani. La mamma studiava psicologia e il babbo invece costruiva qualsiasi cosa. Una mi ha insegnato ad ascoltare la musica e ad amare la pittura, l’altro a ragionare con la materia e con le mani. Per me bambino non c’era confronto ma sintesi. Pensare con le mani è stata la mia infanzia, pensare creativamente.
Sono così cresciuto con l’idea che con un pensiero in testa potevo costruire e fare le cose che mi servivano utilizzando e ragionando con le mani.
Non so se sono stato capace di dare l’idea. Ma ancora oggi per me è questo che intendo in arte: pensiero e azione, un pensiero in azione.
Sul suo sito c’è scritto che, a fianco di psicologi e pedagogisti, lei sviluppa modelli educativi di frontiera. Le chiedo quindi un’opinione su “cosa sarebbe potuto essere” se in Italia le istituzioni che si occupano di educazione avessero abbracciato in maniera seria e importante i concetti sviluppati da Munari e Montessori.
Mi piacerebbe poter dare una risposta a questa domanda. Temo che abbiamo un problema molto grande: si chiama EGOISMO. Una società dovrebbe col tempo utilizzare sempre più la prima persona plurale: noi.
Il grande valore dei loro insegnamenti è che fanno comprendere che l’IO funziona solo dentro a un NOI e non in opposizione ad un LORO.
Ecco, credo che sicuramente questo non è quello che vedo accadere, da più parti.
Non so dirle se sarebbe potuto essere differente, ma credo di sì.
Che tipo di lavoro è stato fatto sul catalogo della mostra, che Corraini pubblicherà a breve?
Il catalogo per la Corraini raccoglie gli interventi del comitato scientifico e presenta i temi del museo. È un catalogo… allegro, non troppo: una grafica leggera e giocosa ma da leggere con attenzione.
©ZazieVostok